Dopo oltre un anno di nomadismo il progetto FART (www.fartgallery.it) prende casa. È una necessità non solo lavorativa che risponde al bisogno di stabilirsi e costruire qualcosa che si intente, e si spera, duraturo.

FART è stata la radice, ciò che sta nascendo ne è il naturale germoglio. L'origine è comune ma, come le parti di un albero che hanno tutte nomi diversi, questo spazio avrà un nuovo nome.

Si chiamerà VAN DER. Il prefisso di un cognome olandese traducibile con la preposizione italiana “da”. Un'indicazione di provenienza non svelata per un'identità che si svelerà di volta in volta a seconda delle mostre, dei progetti, delle idee che lo spazio ospiterà.

venerdì 19 ottobre 2012

IL GIUSTO MOMENTO PER SALTARE


Mi viene da partire dall'attualità. Da Felix Baumgartner e dal suo salto da trentanovemila metri che a scriverlo in lettere fa quasi più impressione che in numeri.
Io l'ho visto in diretta quel salto. Ero in una piccola fiera a Milano e, approfittando di un momento di calma, con i vicini di stand ho seguito il live di questa pazzia, o impresa, o test scientifico, o pubblicità estrema.
Ho seguito, dicevo, tutte le ultime fasi della missione Stratos. Ho visto la capsula Zenith (che sembrava una campana per la raccolta differenziata, solo più tecnologica) salire ben oltre quanto ci si aspettasse. Ho visto la stessa capsula fermarsi a quegli ormai famosi trentanovemila metri. Ho visto Baumgartner slacciarsi la cintura come se scendesse dall'auto dopo aver parcheggiato e invece affacciarsi su quella che sotto sembrava una sfera di fango (era sospeso sul New Mexico, stato americano non troppo famoso per il suo verdeggiare), circondata da un alone blu che scompariva nel nero dello spazio fuori atmosfera. Ho visto Baumgartner nella sua tuta da 250mila dollari (con la visiera che però si appannava a ogni respiro come in un qualsiasi casco da motorino) affacciarsi oltre il portellone e guardare giù. L'ho visto fare il saluto che i militari rivolgono ai propri superiori (avrà salutato il Signore?) e, subito dopo, l'ho visto saltare.
Baumgartner per due motivi. Il primo è che la decisione di aprire uno spazio espositivo è un salto (metaforico) e lo è anche quello di Mario di fare la sua prima mostra proprio qui.
Il secondo sta nell'assonanza tra Baumgartner, il celebre austriaco supersonico di cui prima, e Baumgarten, filosofo tedesco del Settecento che è stato il padre (o padrino) della parola estetica.
Nel 1735 Alexander Gottlieb Baumgarten coniò il neologismo aesthetica nella sua tesi di laurea “Meditazioni filosofiche su argomenti concernenti la poesia”. La parola nacque dalla fusione, o crasi per dirla con il termine giusto, della parola greca αἴσθησις (simboli astratti per chi non ha fatto il classico), che significa "sensazione", e del verbo αἰσθάνομαι (di nuovo simboli astratti), ovvero “percepire”. Mettendo assieme le due cose: "percepire attraverso i sensi".
Ecco. Rimaniamo qui, nel terreno della conoscenza non intellettuale ma viscerale e spontanea.
Quello che mi piace dei lavori di Mario è proprio la loro spontaneità. Sono schizzi in cui si vede la velocità del gesto sempre in bilico tra controllo e perdita, ma in cui si può anche sentire l'eco di un lungo viaggio (dopo tutto è nella natura dello schizzo tenere traccia del movimento) che lascia intuire una provenienza remota ma, in qualche modo, familiare. Una vicinanza nella lontananza creata da immagini che si sostituiscono ai lemmi del dizionario e vanno oltre le definizioni, lasciando la scoperta del loro significato alla percezione di chi le guarda.
Una libertà che è prima di creazione e poi di interpretazione, data dal fatto che i lavori sono nati nell'attimo in cui quella era l'unica cosa possibile da fare. In una limitata frazione di tempo dove non c'è spazio per la meditazione, la mediazione, il ripensamento, l'errore. Momenti di una purezza tale che non darà mai spazio al rimpianto e che nessun giudizio potrà mai rovinare.
Credo che questa giusta spontaneità sia la stessa che ha spinto Mario a esporre i suoi lavori e che mi ha fatto decidere di aprire uno spazio in cui insieme abbiamo trovato il giusto momento per saltare.
Un po' come Baumgartner, perché questi sono i nostri trentanovemila metri.


Nessun commento:

Posta un commento